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Dal numero di dicembre 2021 della rivista “Acta non verba” intervista a Pino Porzio.

Dal numero di dicembre 2021 della rivista “Acta non verba” intervista a Pino Porzio.

Giuseppe Porzio, chiamato Pino, è una vera leggenda della pallanuoto. Uno degli sportivi italiani più vincenti di sempre, con 45 titoli tra Olimpiadi, Mondiali, Europei, Coppe e Campionati, che vive lo sport non solo come un’attività agonistica, ma come stimolo allo sviluppo e all’innovazione imprenditoriale. Gli chiediamo quanto un imprenditore può imparare dall’attività sportiva e quanto delle esperienze in tale ambito possono essere trasferite
nell’impresa, anche alla luce della sfida di WPHub.

Ci parli dei suoi esordi. Perché la pallanuoto, e quali sono stati i suoi punti di riferimento e ispirazione come atleta e come allenatore?
L’inizio è stato quasi naturale. Mio padre era un grande appassionato di pallanuoto, lavorava nelle piscine. Non ricordo la mia vita da bambino senza l’acqua, senza il cloro, quell’atmosfera tipica delle piscine, e senza lo sport. Chiaramente tutto quello che è venuto dopo nasce da questo primo incontro casuale, ma il discorso agonistico, professionale, è nato solo successivamente, con la scuola di nuoto e i primi allenatori, quando ho iniziato ad andare in piscina alla mostra d’Oltremare all’inizio degli anni Settanta, insieme a mio padre, che ci lavorava. Guardavo fino a notte fonda le partite della grande Canottieri Napoli, ero un tifoso della Rari Nantes Napoli, pur essendo la Canottieri la squadra più gloriosa in quel momento, per cui ho vissuto anche da bambino questa forte emozione per uno sport bellissimo, appassionante, di alto livello come la pallanuoto, attraverso il contatto diretto. Ho visto giocare leggende della pallanuoto come il grande Eraldo Pizzo, e poi c’è stato il naturale passaggio, dopo il nuoto, al Posillipo e da lì è nata un po’ la mia storia con squadre di alto livello, quel Posillipo che ha fatto un po’ la storia della pallanuoto italiana e internazionale. Perciò, se dovessi riferirmi a dei personaggi che mi hanno influenzato inizialmente, direi senz’altro mio padre; Minio Cacace, che è stato il mio mentore, il maestro che dall’infanzia mi ha accompagnato fino alle porte della Serie A; Mino Marsili, che è stato il mio primo allenatore in Serie A, e poi il grande Paolo De Crescenzo che è stato l’allenatore della leggenda Posillipo.

Un’esperienza da atleta, ma anche da allenatore. Quali sono le caratteristiche fondanti di un bravo allenatore? Si è mai trovato di fronte, a un’esperienza che pensava di non poter gestire o sostenere?
Quello dell’allenatore è un ruolo completamente differente: il giocatore ha la possibilità di vivere direttamente l’evento e, soprattutto (forse la cosa più bella), di condividere con gli altri, all’interno dello spogliatoio, le emozioni, le vittorie e le sconfitte, i momenti difficili. L’allenatore invece è un uomo solo, nel senso che è quello che guida, il leader, il manager della squadra. È colui che la deve impostare dall’inizio, dalla scelta del giocatore, dei collaboratori, dello staff. Il che richiede un carattere forte, avere idee chiare da trasmettere immediatamente con la presentazione del progetto di lavoro ma, soprattutto, dell’obiettivo finale. Quindi è una figura importante che deve avere la capacità, soprattutto nei momenti critici, di saper affrontare e analizzare con grande ed estrema lucidità le situazioni, e dare delle risposte chiare, dare un indirizzo preciso durante la gara. Ma l’allenatore è anche quello che ha rapporti con la stampa, con le famiglie oltre che con gli atleti, che deve sempre avere il polso della situazione. È chiaro che
siamo esseri umani e si può sbagliare, ma per allenare occorre la capacità, la lucidità, la freddezza e una naturale propensione alla leadership. Ci sono degli atleti, degli uomini, dei manager, degli allenatori che ce l’hanno, e viene loro riconosciuto dagli altri. Perché non basta avere un grande carisma, quando governi e gestisci un gruppo di uomini devi anche essere credibile. Penso che la chiave per un manager o per un allenatore di altissimo livello sia la credibilità agli occhi dei propri uomini ma anche del settore. E anche la capacità di saper gestire i tempi.
Un allenatore di alto livello sa trasformare la paura in adrenalina, coraggio, fiducia per la squadra. Qualche volta si deve anche arrabbiare, perché la squadra ha bisogno di essere spronata, nei tempi e nei modi giusti. È nei momenti critici che si vedono i grandi allenatori, i grandi manager. Perché quando una società va bene, quando una squadra funziona, non c’è bisogno dell’allenatore. Inoltre un vero sportivo non si misura solo con l’avversario, quanto con le situazioni, con sé stesso e con i propri limiti. E la difficoltà nel gestire tanto una finale di Coppa dei Campioni come una finale di scudetto, che si gioca al meglio delle cinque partite, sta nel saper interpretare i momenti, perché non c’è nemmeno il tempo di analizzare la sconfitta che si deve già pensare alla gara successiva.

Lo sport come esempio virtuoso per le aziende. Quanto un imprenditore oggi può prendere esempio se non addirittura imparare dallo sport?
Penso che ci siano molte similitudini con l’imprenditoria. Un imprenditore, come l’allenatore, deve impostare strategie, conoscere il mercato in cui si muove, scegliere le figure adatte al suo business:
non solo guardare all’expertise di una persona, ma anche alla capacità di saper reggere i momenti difficili, di saper affrontare le criticità, valorizzare e dare importanza a ogni componente del gruppo di lavoro nell’ottica del raggiungimento di un obiettivo condiviso, frutto dell’impegno simultaneo di tutti. Spesso parliamo di allenatore e imprenditore, ma penso che i lavori siano molto simili: forse alla fine lo sport vive di emozioni più intense rispetto al mondo del lavoro dove, chiaramente, le tensioni sono notevoli, a volte anche peggiori, perché c’è in gioco la vita delle persone, delle famiglie, però dilatate in un arco temporale più lungo. Tuttavia la gestione, le sfide da affrontare, sono molto simili.

Come nasce il progetto imprenditoriale WPHub (Water Porzio Hub) e la partnership con SEF.
Questa è un’esperienza che avevo già fatto quando ho smesso di giocare, con la società di Management sportivo che avevo creato con mio fratello, poi ho iniziato ad allenare e da allora sono passati una ventina d’anni. Chiaramente sono cresciuto, ho fatto delle esperienze sportive importanti anche da allenatore, ho girato il mondo, ho allenato all’estero. Durante la pandemia, impossibilitato a svolgere il mio lavoro in Canada con la squadra, invece di abbattermi e farmi prendere dal panico, mi sono detto che si trattava di un segnale: era, senza dubbio, il momento in cui dovevo partire con un nuovo progetto, che ho voluto fortemente far nascere a Napoli per dare un contributo allo sviluppo della mia città che tanto mi ha dato dal punto di vista sportivo. Per confrontarmi con questo scenario ho, quindi, deciso di mettere in campo l’ampio bagaglio di esperienze e relazioni accumulato in questi anni, dando il via alla costituzione di una startup che si configura come una piattaforma di offerta di servizi diversificati, nella forma di un network, e che integra aziende e professionisti altamente specializzati per rispondere, con un approccio innovativo, alle esigenze sempre più complesse dell’ecosistema dello sport. Giusto a titolo di esempio, la società è
provvista di legali atti a prendere in carico quelle situazioni complicate in cui si vengono a trovare molti operatori del
settore sportivo, e mi piacerebbe sviluppare, sempre nell’ambito dello sport, un discorso di analisi professionistica supportato dalle nuove tecnologie che consenta di esaminare dati tecnici relativi a squadre, o a singoli giocatori, alfine di conoscere bene il gioco dell’avversario prima di incontrarlo sul ‘campo’. In sintesi, stiamo mettendo su una società che mi auguro possa operare ad ampio spettro e dare la giusta consulenza e supporto alle società sportive ma anche agli atleti stessi.
È chiaro che speriamo di avvalerci, durante il nostro cammino, della consulenza e del supporto di partner che possano apportare nell’ambito della propria competenza un valore aggiunto alla nostra realtà, come SEF Consulting. Perché per vincere c’è bisogno di fare lavoro di squadra, tanto nello sport quanto nella vita vera.

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